Critical Anthology

ALBERICO SALA

(...) Ayna confessa subito la sua anima lombarda e padana: il suono che percorre i suoi dipinti è proprio quello di un fiume, con la luce errante e sfarfallante che intride tutto. Si pensa a Morlotti e a Mattioli (magari a De Stäel), ad una materia che Ayna ha saputo impregnare di una propria visione del mondo, nettamente spartita fra cielo e terra. Che domina è la costante verde (l'anguria galleggia in quella luce); ma a volte un turbine di neve occupa il quadro con emblemi e balugginamenti. La materia, sempre bellissima, madiata (fatta di pazienza, annota Perazzi) si carica di sentimenti, supera la barriera naturalistica.

Tratto da "Il giorno", 1976
(...) Ayna admits immediately his Lombard soul: the sound that runs through his paintings is just that of a river one, with the wandering and flickering light that permeates everything. You think to Morlotti and Mattioli (maybe De Stäel) and to a matter that Ayna has been able to fill whit his own world view, clearly parted from heaven and earth. The green constant prevails (the watermelon floats in that light); but sometimes a snow occupies the painting with emblems and twinkles. The matter, always gorgeous, full (made of perseverance, Perazzi note) charges whit emotions, exceeds the naturalistic barrier.

From "Il Giorno", 1976

MARIO PERAZZI

(...) Quella di Giuseppe Ayna è una pittura fatta di pazienza, sapienza e amore, ma anche, si direbbe di rabbia, di dolore. Alle spalle c'è una solida preparazione tecnica - si veda l'uso delle velature e la sapienza dei pastelli grassi - di impianto naturalistico, innestati in quella tradizione lombarda che va da Tosi, a Morlotti a Ghighine, per intenderci, ma senza richiami a Cézanne. Ayna ha un modo di studiare il paesaggio che lo stacca dall’impressionismo: più che un’emozione cerca di ridar vita a un ricordo. Ed è qui che la sua pittura si fa tesa, dolorosa, come se tentasse di reprimere la passionalità sotto il macerare di toni, confondendo le impressioni e poi ricomponendole in tagli di colore che paion a prima vista netti, ma che brulicano di guizzi di riverberi di grumi vitali. Ayna non dipinge l’uomo, ma ricorda rive, campi, boscaglie dove l’uomo ha camminato un istante fa, prima che calasse la nebbia, prima che la brina gelasse sui rami, prima che la neve si impastasse alla foschia.

Presentazione catalogo “Giuseppe Ayna”, Milano, 1976
(...) Ayna’a painting is made of perseverance, wisdom and love, but even, you could say of anger and sorrow. There is a strong technical competence behind – you can see it in the use of glazes and in the fat crayons wisdom - of a naturalistic structure, grafted in that Lombard tradition that goes from Tosi to Morlotti to Ghighine, to be clear, but without references to Cézanne. Ayna has a way of studying the landscape that distances him from impressionism: he tries to produce a memory more than an emotion. And it is here that his painting becomes tense, painful, as if trying to repress passion under the tones macerating, blending impressions and then recomposing them in color cuts that seem at first sight clean breack, but that heave whit glare flashes of vital lumps. Ayna does not paint the man, but remembers shores, fields, brushwoods, where man has walked a while ago, before fog felt, before frost froze on the branches, before the snow kneaded with haze.

Introduction Catalogue "Giuseppe Ayna", Milan, 1976

GIANFRANCO RAVASI

Visioni un po’ magiche e smaltate, in un certo modo sontuose, dinamizzate da rinvii cromatici – cieli che assorbono il colore delle ortensie o rimbalzano nelle trasparenze vitree di una cascata – ed ecco la pittura di Giuseppe Ayna (Milano, 1939), nella quale, fra geometriche campiture, fluiscono, quasi percepibile sussurro, umori di natura. (…) Pittore “informale”, ma neanche troppo, dato che nelle sue tele le emozioni finiscono per coagularsi in vene evidenti e corpose entità botaniche, alberi, fiori, rovi e così via. Ayna ci accompagna attraverso quel suo mondo di accese fantasie pungolandoci con la sua tumultuosa passione. (…)  E’ questo un vivo materiale di riporto dalla memoria, frutto di un’immersione nel profondo: quell’esperienza non di meno dolorosa dell’artista votato all’Informale che Morlotti definiva una “discesa agli inferi”.

Tratto da “Il Corriere della Sera”, 1993
A little magic and glazed vision, sumptuous in a certain way, dinamized by chromatic references – heavens that absorb the hydrangeas color or that bounce in a waterfall vitreous transparencies - and here it is  Giuseppe Ayna’s painting (Milan, 1939) in which , between geometric fields, nature lymphs flow, like an almost noticeable whisper. (...) "Informal" painter, but neither too much, because in his painting emotions end up clotting in evident veins and substantial botanical entities, trees, flowers, brambles and so on. Ayna takes us through his world of intense fantasies motivating us whit his tumultuous passion. (...) This is a taking back from memory deep material, resulting from an immersion in the depth: that experience not less painful of the artist devoted to informal that Morlotti  defined a "descent into hell".
From "Il Corriere della Sera", 1993

FRANCESCA BONAZZOLI

C’è una singolare antinomia che, come una nota bizzarra, lega tutti i lavori di Giuseppe Ayna: da una parte il pittore ricerca la semplificazione dell’immagine, la sua riduzione fin quasi all’essenzialità delle forme geometriche; dall’altra, insegue la preziosità della materia, fino all’accanimento nel trarre dal colore luci e vibrazioni che non sembrano appartenergli. Dal figurativo dei quattordici anni ai quadri “astratti” di oggi, Ayna ha ingaggiato un duello con i colori per riuscire a trarne l’anima e quel segreto che ha sedotto gli artisti come lui che amano “fare” la pittura, intrattenendo con essa un rapporto diretto, manuale, fisico senza la mediazione del pennello. C’è chi usa gli stracci; chi le dita stesse. Ayna usa l’ovatta di cotone: ne fa un mucchietto fra le dita, lo intinge nel pigmento e poi la spalma sulla tela. Così entra a far parte di quella famiglia di pittori che non ha nulla a che fare con le immagini nitide, puntigliose e perfino pedanti, ma che preferisce dipingere le cose così come la luce le rivela all’occhio: indistinte, senza confini, fatte solo di masse di colori. (…) lo si vuole avvicinare a quella consorteria di artisti che amano la pittura come i bambini trovano piacevole affondare le mani nei colori: con gioia, traendone un’emozione fisica. Ecco perché i quadri di Ayna raggiungono direttamente la sensibilità dell’osservatore senza la barriera del cosiddetto “messaggio”, del concetto più o meno oscuro. Ciò che Ayna ha in testa è tutt’uno col colore che le sue dita schiacciano sulla tela come se si fosse totalmente immerso nella natura impossessandosi di un carico di blu, rossi, viola, da postare subito sul quadro. Eppure Ayna, in apparenza, non concede nulla alla seduzione del colore che è cupo, notturno. Ma, come un raggio di luce può intensamente illuminare il buio di una chiesa, così l’artista milanese scava, gratta il pigmento, come si fa con un vetro sporco, per andarne a cercare l’anima in trasparenza, sino a quando non si incendia. (…) L’astrattismo di Ayna non ha nulla di concettuale – come in tanta banale pittura – è, piuttosto un’ulteriore “distillazione” dei paesaggi precedenti. Frammenti di spazi costruiti di solo colore. Emozioni cromatiche riportate alla loro essenza, come note che si muovono su un pentagramma dove ad ogni stato d’animo corrisponde il desiderio di un colore.

Presentazione catalogo “Giuseppe Ayna. Dipinti 1985 – 1996”, Milano, 1997
There is a remarkable antinomy that, as an odd mark, links all Giuseppe Ayna works: on one hand the painter loocks for the image simplification, its reduction almost to the geometric froms essentiality, on the other hand he chases the material preciousness assiduously drawing from color light and vibration that to don’t seem belong to him. From the fourteen years old figurative to today's "abstract" pictures, Ayna has engaged a duel with colors to be able to draw the soul out and the secret that has seduced artists like him who like to "do" painting, entertaining with it a direct, manual, physical relationship without the brush mediation. Someone uses rags; others the same fingers. Ayna uses cotton wool: he makes a wad in his finger and then he dips it in the colour and then he applies it on the canvas. So he becomes part of that family that has nothing to do with the well-defined, punctiliouns, even doctrinaire images, but who prefer painting things just as light reveals them to the eye: indistinct, whitout borders, only made of color masses.(...) Someone wants to compare him to that artist’ clique that love painting as children feel enjoyable immersing hands in colors: joyfull, getting a physical emotion. That’s why Ayna paintings directly reach the  observer sensibility, without the "message" and the more or less obscure concept barrier. What is Ayna’s mind it’s a whole with color that his fingers push on the canvas as if he were totally absorbed by nature getting hold a blues, reds, purples load, to be immediately posed on the painting. Nevertheless,  apparently, Anya doesn’t allow anything to the seduction of color that is dark, nocturnal. But, as a light ray can intensely light up a church darckness, so the Milanese artist digs up, scratches the color, like you can do  whit a dirty glass, to look for its soul in transparency, until it fires up itself. (...) Ayna's abstract art has nothing conceptual - as in a lot of banal painting – it’s, instead a further distillation of the previous landscapes. Spaces fragments built of color only. Chromatic emotions back to their essence, as notes that move on a staff where every mood matches a color desidere.

Introduction Catalogue "Giuseppe Ayna. Dipinti 1985 - 1996 ", Milan, 1997

ERMANNO KRUMM

(…) L’elemento unificante, il tocco che da un’opera all’altra continua come un discorso ininterrotto è un dato tecnico, l’ovatta di cotone. Ayna, infatti, come segnala Francesca Bonazzoli in catalogo, ne fa un mucchietto, che intinge nel pigmento e poi lo passa sulla tela. Ne nasce un’immagine indistinta, senza contorni netti, nella quale la sostanza cromatica è mischiata e striata sul fondo, prevalentemente di carta. La scelta dei toni è cupa, con molti neri, bruni e una specie di filtro scuro che non abbandona neanche i rossi e i gialli. L’effetto è forte. L’aura è un po’ romantica. Il clima generale è intenso e nostalgico. I risultati migliori Ayna li ottiene quando sostiene le sue nuvole impalpabili di colore con una struttura che arricchisce e dà forma all’insieme, evitando il rischio di restare nell’indistinto. (…) Si percepisce sempre, comunque, la volontà di suggerire, piuttosto che di dire. L’intenzione di introdurre nelle opere una zona di mistero (…)

Tratto da “Il Corriere della Sera”, 1997
(...) Cotton wadding is a technical data,  the unifying element, the touch that continues from one work to another as an uninterrupted conversation. In fact, as notes Francesca Bonazzoli in the catalogue, Ayna makes a wad in his fingers and then he dips it in the color and then he applies it on the canvas. The result  is an indistinct image, without clear outlines, in which the chromatic substance is mixed and streaked on the bottom, mainly of paper. The tones choice is grim, with many blacks, browns and a kind of dark filter that doesn’t even leave the reds and the yellows. The effect is strong. The aura is a bit’ romantic. The general atmosphere is intense and nostalgic. Ayna gets his best results when he supports his color impalpable clouds with a structure that enriches and gives shape the whole, avoiding the risk of remaining in the vague. (...) However, you can always perceive the will to suggest, rather than telling. The intention to introduce in the work a mystery zone (...)

From "Il Corriere della Sera", 1997

ROSSANA BOSSAGLIA

(…) Ayna continua ad inserirsi in una situazione alle cui spalle avvertiamo soprattutto Morlotti e in ogni caso l’atmosfera culturale del grande informalismo post-bellico, specie di matrice francese. Organizza le sue composizioni per blocchi e tasselli di colore diverso, dove il materico si sposa a tagli di rigore geometrico; oppure fa vibrare la pennellata in toni tumultosamente affocati, o ancora la frantuma in picchiettature delicate e pastose; ma sempre su tutto domina il senso del costruire l’idea che il quadro sia un’entità finita e definita, dove accorpare e organizzare la fluttuante transitorietà delle emozioni. I temi conduttori sono remotamente naturalistici, come appunto è proprio di certo filone astratto che procede dalla visione del reale per sublimarla in immagini senza referenti; è talora occhieggiano anche figure, o remote tracce del loro apparire. (…)

Tratta da monografia “Giuseppe Ayna”, 1997
(...) Ayna continues to find a place in a ambient in which we find Morlotti and in any case the cultural atmosphere of the great post-war informalism and especially a kind of French matrix. He organizes his compositions in squares and patches of different colors whose density fuses whit strict geometric rigor; or he makes the brush strokes of fiery tones; or again, the fusion, which fragments and shatters the color in mellow points, is of delicate density. Howeve, over all, where the unity and organization of fleeting emotions dominates. The main themes are vaguely naturalistic, as of certain leading strand of abstraction which comes  from the vision of what is real to sublimate it in images without preceding references; and even glimpses of figures or remote traces of their presence. (...)

From "Giuseppe Ayna" monograph, 1997

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